Il calabrese illustre Joanni Maurello e la sua opera: “Lamento per la morte di don Enrico d’Aragona”.

Il calabrese illustre Joanni Maurello e la sua opera:  “Lamento per la morte di don Enrico d’Aragona”.
La Calabria, terra anche di illustri personaggi come Joanni Maurello.

Joanni Maurello, o Joanne, conosciuto anche con il nome di Giovanni Maurello , nacque nel XV secolo, presumibilmente nella città calabrese di Cosenza. Per questo motivo al suo nome e cognome è, a volte, aggiunto il nome Cosentino per specificare la sua città di provenienza.

Poco si sa della sua vita, certamente, però, Maurello fu un illustre figlio della Calabria. Poeta italiano famoso e stimato, autore di un epicedio (l’epicedio – in greco antico: ἐπικήδειον μέλος?, epikédion mélos – è un tipo di componimento poetico scritto in morte di qualcuno, tipico della letteratura latina) in dialetto calabrese

Questo canto funebre chiamato “Lamento per la morte di don Enrico d’Aragona”, fu stampato a Cosenza nel 1478 a cura di Ottaviano Salomonio di Manfredonia.

L’elaborato è da ritenersi il primo documento a stampa in dialetto calabrese/cosentino, ricco di latinismi e di forme italianizzate.

L’epicedio di 296 versi, diviso in quattro parti (capituli), stampato a Cosenza nel 1478″per lo egregio Maestro Octaviano Salomonius de Manfridonia, impressore nella città di Cosenza. Questo planctus è ritenuto il più antico documento in dialetto calabrese che ci sia pervenuto. L’incunabolo (con incunabolo (o incunabulo) si intende un libro stampato con la tecnica a caratteri mobili prima dell’anno 1501. A volte è detto anche quattrocentina , nda) cosentino fu scoperto nel 1888 nella Biblioteca Corsiniana di Roma (oggi Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana) dallo studioso Erasmo Percopo.

 

Dall’esame dell’opera si suppone che Joanni sia stato al servizio di don Enrico d’Aragona, figlio spurio del re Ferdinando I di Napoli, nel Castello di Terranova da Sibari dove il giovane nobile morì per aver mangiato funghi velenosi. Joanni Maurello mostra un dolore sincero per la morte del suo signore, di cui canta le virtù in un dialetto della Calabria Citeriore. A giudizio del Percopo, Maurello era uomo “non del tutto volgare e popolano, o cantambanco o improvvisatore che dir si voglia”, bensì provvisto di una certa cultura.

Il “Lamento” è un misto di ottave (“la siciliana con due rime alternate”) e di terzine. La lingua utilizzata da Maurello è composita: di fondo è un dialetto cosentino; ma non mancano voci del registro linguistico letterario italiano (“Ella“) e latinismi (“captiva“, “maxime“, ecc.)

 

 

Enrico d’Aragona (XV secolo – 1478) era figlio di Ferdinando I di Napoli e della sua concubina Diana Guardato, fu marchese di Gerace.

Figlio spurio del re di Napoli Ferrante d’Aragona e di Diana Guardato, per il cui parto la donna morì, stando al racconto dei Successi tragici et amorosi di Silvio Ascanio Corona.

Secondo altre fonti era figlio di Giovanna Caracciolo, ma questo renderebbe impossibile la sua nascita, in quanto la donna fu amante di re Ferrante tra il 1472 e il 1474.

Il 21 maggio 1473 Enrico ottenne dal padre il feudo di Gerace, che dopo essersi liberata del dominio dei Caracciolo era diventata città demaniale. Nello stesso anno sposò Polissena Ventimiglia.

Enrico è noto soprattutto per le drammatiche circostanze della sua morte. Morì infatti dopo aver mangiato dei funghi velenosi nel Castello di Terranova da Sibari, dove si era recato, ospite di Marino Correale di Grotteria, per riscuotere tributi per conto del re di Napoli. Assieme a lui morirono altre persone, mentre il fratello Cesare marchese di Santa Agata, che aveva anch’egli mangiato i funghi, sopravvisse. La moglie di Enrico, Polissena Ventimiglia, incinta del figlio Carlo e con i quattro figli ancora bambini (Caterina, Luigi, Ippolita e Giovanna), si rivolse a Francesco da Paola perché compisse il miracolo di salvare il marito, ma il santo le rispose di non possia fare alcuna cosa perché lo Signor Dio volia lo dicto Signor Don Enrico con ipso.

Fra i presenti al tragico episodio vi fu Joanni Maurello il quale ricordò Enrico nell’epicedio Lamento per la morte di don Enrico d’Aragona, stampato a Cosenza nel 1478 e ritenuto il più antico componimento poetico in calabrese.

Gli succedettero nel feudo di Gerace, dapprima il figlio Luigi (1474-1519), che nel 1492 rinunciò al titolo per diventare Protonotario apostolico, e successivamente Carlo, il figlio postumo di Enrico. Luigi, divenuto cardinale, nel 1510 fece assassinare ad Amalfi la sorella Giovanna, il marito Antonio Beccadelli di Bologna, e i tre figlioletti; questa cupa vicenda ha ispirato fra gli altri Matteo Bandello (Novella XXVI, Il signor Antonio Bologna sposa la duchessa di Malfi e tutti dui sono ammazzati), John Webster (La duchessa di Amalfi) e Lope de Vega (Il maggiordomo della duchessa di Amalfi).

Percopo ( (Napoli, 26 febbraio 1860 – Napoli, 19 gennaio 1928) filologo e critico letterario italiano, che redisse il lungo scritto dal titolo “La morte di Don Enrico D’Aragona” – Lamento in dialetto calabrese – (1478)”, che troviamo nel numero di Archivio Storico per le Province Napoletane pubblicato a Napoli nel 1888, a cura della Società di Storia Patria, Anno XIII – Fascicolo Itesto che è più che altro un’introduzione al componimento più noto del Maurello, dal nome “Lamento per la morte di don Enrico d’Aragona”), specifica che: 

,“il componimento che presentiamo qui, quasi per la prima volta, agli studiosi, fu da noi ritrovato nelle ultime carte delle <<Fabule de Exopo…transmutate  dal dicto latino in uulgare per Maestro Facio Caffarello da Faenza, e stampate dal maestro Octaviano Salomonius de Manfridonia impressore in la cita de Cosenza>>: libro rarissimo, a quantopare, e di cui non abbiam potuto vedere, e forse non esiste, altro esemplare, fuori di quello, che si trova nella biblioteca Corsiniana di Roma, ora dell’Accademia de’ Lincei, con  la segnatura Misc. 51. A.19, e del quale ci siam serviti unicamente per la presente ristampa”.

Il critico, continua nel suo scritto, sottolineando in modo incisivo, quasi duro, il fatto che, benché già disponibile in versione stampata, questo documento sfuggì a tutti coloro che potevano essere interessati se l’avessero conosciuto.

Sottolinea Percopo, infatti, come il testo fu ignorato da tutti gli scrittori che si occuparono della storia degli Aragonesi e della discendenza loro nonché tutti quei raccoglitori di patrie memorie che occupandosi (in realtà il filologo scrive: “tentando, nel senso vasto della parola”, nda) della “letteratura calabrese avrebbero di che poter popolare quelle immense e vaste solitudini, che offrono alla curiosità dello studioso moderno, in fatto di documenti artistici o puramente storici e filologici, quelle regioni, durante i primi secoli della letteratura nazionale”.

Continua il ricercatore, affermando testualmente, che l’ignorarono, infine, tutti coloro che presero a studiare il dialetto delle province meridionali in genere, e il calabrese in particolare, o altri affini e vicini; e quelli pure che mettendo insieme canti, novelle, tradizioni, avrebbero trovato in questo antico documento semi popolare, di che illustrare si la lingua, si le vecchie e nuove canzoni, le fantasie e immaginazioni del popolo calabrese”.

Per Percopo, infatti, il componimento del Maurello aveva un interesse oltre che filologico anche storico.

Percopo, come scrive  Luigi Accattatis (illustre storico e lessicografo calabrese) nel Vocabolario del dialetto calabrese: Casalino-Apriglianese, Castrovillari: Dai tipi di F. Patitucci, 1895-1897, p. 94., “frugando nella Biblioteca Corsiniana di Roma (era il 1888 e la Biblioteca Corsiniana di Roma è oggi la Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana, nda) fece uscire dall’oblio questo testo del Maurello che erroneamente era nominato con il titolo Canzone in lode di D. Ferrante Re d’Aragona e benché stampato probabilmente nel 1478, epoca della morte di don Enrico d’Aragona, rimase sconosciuto a tutti gli scrittori che si occuparono della storia degli Aragonesi e della loro discendenza”.

 Pure Accattatis, comunque, sottolinea l’importanza del testo del Maurello dato che di don Enrico d’Aragona, “figlio bastardo di Ferrante I (così ruvidamente lo definisce lo storico calabrese, nda), assai poco ci parlano e le cronache contemporanee e i documenti!”.

Continua l’Accattatis dicendo che il testo scoperto oltre a essere il primo documento che si conosca in dialetto calabrese e di tre secoli anteriore alla traduzione della “Gerusalemme Liberata” di Carlo Cusentino che era finora ritenuto come il più antico monumento stampato in vernacolo calabrese”.

La vita e l’operato di Giovanni Maurello sono strettamente legati alla storia e alla cultura della Calabria, una regione che ha sempre giocato un ruolo importante nella valorizzazione delle tradizioni locali e nell’evoluzione del panorama culturale italiano.

La sua figura è emblematica di un tempo in cui la cultura locale e le tradizioni erano di fondamentale importanza per le comunità.

Maurello si distinse come promotore delle arti e delle lettere, guadagnandosi una solida reputazione nel contesto culturale del suo tempo. Si sa che dedicò gran parte della sua esistenza alla preservazione e alla promozione delle tradizioni calabresi, contribuendo allo sviluppo culturale della regione e diventando una figura di riferimento per intellettuali e artisti locali.

In definitiva, Joanni Maurello rappresenta uno di quei personaggi che, pur non essendo sotto i riflettori, hanno lasciato un segno indelebile nella costruzione dell’identità culturale della Calabria e dell’Italia intera. Il suo *Lamento per la morte di don Enrico d’Aragona* resta una delle sue opere più rappresentative, riflettendo la sua sensibilità e il suo impegno nella celebrazione dei personaggi illustri del suo tempo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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