La strage del Diana rappresenta uno dei momenti più tragici della storia di Milano e dell’Italia del primo dopoguerra, segnando un momento di tensione estrema in un paese devastato dalla guerra e travolto da accese divisioni sociali. Questo drammatico evento ebbe luogo il 23 marzo 1921, quando una bomba esplose al Kursaal Diana, un edificio storico di Milano eretto fra il 1907 e il 1908 su progetto dell’ingegnere architetto Achille Manfredini (fu il cavalier Paolo Ingegnoli, facoltoso imprenditore e collezionista d’arte milanese. a dare all’architetto Manfredini il compito di progettare un grande kursaal – con il termine di origine tedesco, kursaal , si intende un casinò o un grande luogo di riunione per turisti in città di mare o di villeggiatura. Nell’uso internazionale è riferito a stabilimenti termali o balneari e ad alberghi, grandi caffè e sale da ballo – comprendente un ristorante, un hotel meublé, uno sferisterio per il gioco della pelota e la grande piscina del Bagno di Diana, nda) per ospitarvi l’omonimo albergo. L’attentato causò numerose vittime e feriti ( 21 furono i morti e 80 i feriti) tra il pubblico, suscitando una forte reazione nella società italiana.
Il Contesto Storico
Negli anni immediatamente successivi alla Prima Guerra Mondiale, l’Italia era attraversata da una profonda crisi economica e sociale. La delusione per i risultati del conflitto, i costi economici elevati e le difficoltà di reinserimento dei reduci avevano generato un clima di malcontento e instabilità. Movimenti operai e sindacali, ispirati alle idee socialiste e anarchiche, aumentarono le loro attività di protesta, scontrandosi con un crescente movimento di stampo fascista, sostenuto da industriali e latifondisti, che vedevano nei gruppi operai una minaccia alla stabilità sociale.
Il Teatro Diana, uno dei più rinomati di Milano, era frequentato in quei tempi dalla borghesia milanese. Questa scelta di obiettivo da parte degli attentatori si inseriva in una strategia di lotta armata contro coloro che venivano percepiti come simboli della classe dominante e responsabili delle ingiustizie sociali. Anche se, nel corso dei processi non verrà mai chiarita la reale motivazione della scelta del Diana, sebbene s’ipotizzasse che l’obbiettivo fosse il questore Giovanni Gasti che si riteneva risiedesse in un appartamento posto sopra il teatro.
L’Attentato e le Sue Conseguenze
Il 23 marzo 1921, durante una rappresentazione teatrale, una bomba esplose all’interno del Teatro Diana, affollato di spettatori. La detonazione causò il crollo di parte della struttura, mietendo 21 vittime e causando circa 80 feriti. La violenza dell’esplosione e l’alto numero di civili coinvolti scossero profondamente l’opinione pubblica italiana.
L’attentato fu attribuito a un gruppo di anarchici, tra cui Giuseppe Mariani e altri giovani militanti, vicini a movimenti rivoluzionari e propensi all’uso della violenza come strumento di rivolta contro lo stato borghese. In risposta alla strage, le forze dell’ordine intensificarono la repressione, portando all’arresto di numerosi anarchici e socialisti, e diedero un ulteriore impulso alle misure di sicurezza e controllo sui
Indagini e processi
Le indagini furono immediatamente avviate e coordinate proprio dal questore Giovanni Gasti, presente in sala, indirizzandosi verso il giovane anarchico Antonio Pietropaolo, catturato dopo essere fuggito da una carrozza fermata al posto di blocco in corso Monforte, nella quale erano poi state ritrovate due rivoltelle e alcune bombe a mano.
Nel giro di poche settimane, l’arresto di Pietropaolo fu seguito da decine di arresti effettuati nell’ambiente degli anarchici individualisti lombardi. Alcuni sospetti, come Pietro Bruzzi, riuscirono a dileguarsi e riparare all’estero.
Il processo contro gli attentatori anarchici, difesi dall’avvocato Leonida Repaci , ebbe inizio il 9 maggio 1922, avanti la Corte di Assise di piazza Fontana e nella stessa aula dove era stato processato Gaetano Bresci. Il 1º giugno fu pronunciata la sentenza che individuava come autori materiali della strage e condannava all’ergastolo il bergamasco Ettore Aguggini, di 19 anni, e i mantovani Giuseppe Mariani, di 23 anni, e Giuseppe Boldrini, di 28 anni, che si proclamerà sempre innocente. Gli altri 16 imputati, ritenuti complici, furono condannati a pene varianti tra i 15 e i 4 anni di carcere.
Mariani disse sulla strage:
«… si è accreditata la “solita” storia dello anarchico che, spalancata la porta di un teatro, dissemina la morte ed il terrore, coscientemente e volontariamente. Quella sera il carico di esplosivo fu depositato al di fuori del teatro, con l’intenzione di colpire non il teatro quanto il soprastante albergo – che, secondo informazioni allora in possesso degli attentatori, serviva regolarmente da luogo di incontro tra Benito Mussolini ed il questore di Milano Gasti, entrambi acerrimi nemici degli anarchici e da questi ultimi odiati, in particolare, si credeva che proprio quella sera Gasti si dovesse trovare in quell’albergo.»
L’opinione di Errico Malatesta, leader indiscusso del movimento anarchico italiano
L’azione contro il “Diana” suscitò orrore e disapprovazione negli ambienti anarchici. Errico Malatesta, dal carcere, sospese lo sciopero della fame ed espresse «il suo sdegno per il delitto esecrando che giova solo a chi opprime i lavoratori e a chi perseguita il nostro movimento».
Più avanti, sulle pagine di Umanità Nova, pubblicherà un articolo, intitolato Guerra civile:
«…Qualunque sia la barbarie degli altri, spetta a noi anarchici, a noi tutti uomini di progresso, il mantenere la lotta nei limiti dell’umanità, vale a dire non fare mai, in materia di violenza, più di quello che è strettamente necessario per difendere la nostra libertà e per assicurare la vittoria della causa nostra, che è la causa del bene di tutti…»
L’Eco e l’Impatto nella Società Italiana
La strage del Diana ebbe un impatto profondo sull’opinione pubblica, alimentando un clima di paura e preoccupazione. Da un lato, l’evento rafforzò l’idea, sostenuta da alcuni esponenti della politica e dell’industria, della necessità di una mano dura contro i movimenti sovversivi; dall’altro, l’attentato fu strumentalizzato dal nascente movimento fascista per giustificare un controllo autoritario come strumento di ordine e sicurezza.
La strage contribuì a polarizzare ulteriormente il dibattito pubblico e politico, accelerando il passaggio a un clima di repressione che culminò poi nella presa di potere del fascismo. La strategia della violenza indiscriminata, come quella attuata nel Diana, suscitò anche profonde critiche all’interno degli stessi movimenti anarchici e socialisti, dove molti ritenevano che tale scelta avrebbe potuto alienare il sostegno della popolazione.
Conclusioni
Oggi, la strage del Diana è ricordata come un episodio tragico di uno scontro sociale che raggiunse livelli drammatici nel primo dopoguerra italiano. Le tensioni esplosive di quel periodo riflettono un’Italia divisa e in cerca di un equilibrio tra le istanze sociali e i timori di disordine, in un momento di grande trasformazione politica. La memoria di questo evento rimane un monito sulla fragilità dell’ordine civile quando la violenza diviene strumento di conflitto, e una testimonianza dell’intensità delle lotte sociali che hanno segnato il cammino verso un’Italia più equa e stabile.