Viviamo in un mondo chiuso, individualista, dove l’aggregazione è sempre più difficile. Le differenze culturali, spesso, non facilitano la convivenza, anche se ciò non significa opporsi all’integrazione tra i popoli.
Esiste una sorta di paura di amare, di concedersi agli altri. Il tempo per la compagnia sembra ridursi sempre di più, mentre il timore di chi ci sta davanti cresce, alimentato da continue notizie di cronaca, soprattutto riguardanti la violenza, spesso nei confronti delle donne.
Il sospetto, quel senso di diffidenza che nasce anche da esperienze deludenti, ci porta a chiuderci. Così rischiamo di vivere una vita priva di emozioni autentiche, schiavi di una realtà che ci trattiene.
Tra la paura dell’ignoto e la diffidenza verso ciò che vediamo ma non conosciamo davvero, rischiamo di far stagnare il “fiume” della vita, trasformandolo in una pozzanghera. È un rischio che si corre ogni volta che scegliamo di non incontrarci davvero, di non aprirci agli altri.
Tuttavia, la prudenza non può paralizzarci. Sì, la paura di amare e di essere feriti, magari ancora una volta, è reale. Ma qual è l’alternativa? Una vita incompleta, limitata anche nelle relazioni più importanti – lavoro, famiglia, amicizie – che vengono appiattite in una routine che è, sì, un miracolo di sopravvivenza, ma priva di vitalità.
Viviamo anche in una realtà dove è difficile mostrarsi per ciò che siamo veramente. Un mondo che ci propone falsi modelli di successo, e ci illude che la sicurezza possa essere garantita, quando invece non dipende neppure dalle nostre scelte. Pensiamo, ad esempio, alle guerre in corso che stravolgono vite intere.
La difesa di sé stessi e dei propri cari dovrebbe andare di pari passo con un atteggiamento aperto, ma saldo, nei confronti degli altri. Lo so, le delusioni fanno male, profondamente male. Ma mi chiedo: possiamo davvero chiamare “vita” un’esistenza in cui non ci permettiamo di amare?
Donarsi non a tutti, certo, ma a chi merita. E questo potrebbe essere ciò che lasciamo di noi: il ricordo di aver amato, di aver dato il nostro cuore a chi lo meritava. E al tempo stesso, di aver saputo escludere chi non lo meritava o chi rappresentava un pericolo.
In questo equilibrio affettivo, forse, si può ancora vivere come un tempo. Con cautela, perché i tempi sono cambiati, ma senza mai rinunciare al desiderio di amare – in tutte le sue forme – e di essere amati.
Aveva ragione, quindi, lo scrittore e teologo britannico C.S. Lewis quando affermò che
“Amare significa essere vulnerabili. Se non vuoi che il tuo cuore venga spezzato, non dovresti mai amarne uno.”